La Cattedrale di S. Paolo di Aversa venne fatta costruire dai Normanni, nella seconda metà dell’XI secolo, al tempo dei conti Riccardo I° e di suo figlio Giordano, su di un’antica chiesetta dedicata a questo santo, come si può dedurre dall’epigrafe incisa sul portale, i cui resti ora sono inseriti sul muro dal lato del Seminario e che, secondo Gaetano Parente, Mario D’Onofrio e Valentino Pace, ornava la porta principale della facciata della prima cattedrale.
Anche se i committenti furono i conti Riccardo I° e suo figlio Giordano, è probabile che i responsabili Intellettuali del progetto siano stati i vescovi di quel periodo, Goffredo e soprattutto il grande Guitmondo, monaco e teologo francese del monastero di Cluny.
Quella attuale è il risultato di numerose ricostruzioni e rifacimenti per le ingiurie del tempo e per i terremoti, che sono accaduti nel corso dei secoli. Alla prima Cattedrale appartengono la porta degli Ebdomadari che, probabilmente, era la porta laterale rivolta a Sud, e le due stele di marmo, l’una di S. Giorgio e il Drago e l’altra fatta di due cerchi, di cui quello inferiore presenta due leonesse che si azzannano e quello superiore un elefante con una torre sul dorso.
Queste tre opere vennero realizzate, probabilmente, nella seconda metà dell’XI secolo, a ridosso delle istanze millenaristiche, relative all’anno Mille, ed in un periodo in cui partiva, anche da Aversa, un manipolo di guerrieri Normanni per le Crociate. E proprio da un pellegrinaggio a Gerusalemme, come riporta Gaetano Parente, tornavano i 49 Cavalieri Normanni e i loro 30 scudieri, che sbarcarono ad Amalfi, dando inizio all’epopea normanna nell’Italia Meridionale e che nove cavalieri francesi fondarono l’Ordine dei Templari nel 1118. Questo è l’Humus culturale da cui dobbiamo partire.
Le nostre incertezze di fronte a moltissimi documenti dell’arte medievale, sono dovute al fatto che oggi tante forme espressive hanno perso la loro capacità comunicativa. La cultura e l’arte medievale si nutrono di simbolismo, e proprio i segni di questo simbolismo dobbiamo riuscire ad identificare, a decifrare e riportare ad unità, se vogliamo entrare nell’immaginario degli autori e districare l’intricata matassa del loro messaggio.
Premetto che il tema di tutte e tre le opere scultoree è lo stesso: il nostro pellegrinaggio terreno , che viene rappresentato utilizzando alcuni elementi di numerologia, che cerco di illustrarvi.
Se l’8 che rappresenta l’Infinito, Dio, viene tagliato, diviso ( diaballo = Diavolo ), si ottengono due 3, che, moltiplicandosi, rappresentano la molteplicità, la vita ma anche la caduta, il peccato, mentre, ricomponendosi, ritornano ai due 3 iniziali che possono riprodurre l’unità nell’8 dell’Infinito, da cui siamo partiti. I percorsi di redenzione simboleggiano il ritorno, il rientro nell’Eden, che è poi il nuovo Eden dellaGerusalemme celeste.
Guardiamo ora la porta degli Ebdomadari: i due pilastri laterali rappresentano la terra, l’architrave il cielo ed insieme rappresentano il cosmo, il creato, ma anche Adam, il livello “dell’uomo fisico”.
Questi 3 elementi che rappresentano la condizione di partenza, sono sovrastati dall’arco che è fatto di 5 pietre massicce. Il numero 5 rappresenta il livello della consapevolezza, il livello “dell’uomo animico”. Il 3 unito al 5 fa 8 e nella lunetta, al centro dell’arco, noi troviamo l’infinito, l’uomo Dio, il Cristo Sofferente, stiamo parlando del “ livello dell’uomo pneumatico, il livello dello Spirito”.
Le due stele marmoree furono trovate nel 1933 fra i marmi di risulta, forse appartenenti a quelli emersi dal restauro settecentesco della Cattedrale, durante i lavori della nuova pavimentazione dell’area antistante il deambulatorio. Le due stele si corrispondono; presumo appartengano allo stesso periodo, e fossero collocate una a destra, S. Giorgio e il Drago, e l’altra, a sinistra, l’elefante con la torre, della porta principale di Ovest dell’antica Cattedrale.
Si corrispondono perché entrambe realizzano un percorso di redenzione, al maschile S. Giorgio e il Drago, ed al femminile le 2 leonesse in lotta e l’elefante con la torre.
Nella nostra Cattedrale, come in quasi tutte le chiese, si va da Occidente ad Oriente, dal buio alla luce, dalla porta all’altare in un percorso simbolico di Redenzione.
La stele dell’elefante è fatta di due cerchi sovrapposti, che insieme formano l’8 dell’infinito. Mi ricorda un famoso dipinto di Tiziano, conservato nella Galleria Borghese, l’Amore Sacro e l’Amore Profano, ed anche la lastra sepolcrale longobarda di S. Bertulfo nella cripta di S. Colombano, nella omonima chiesa a Bobbio ( PC ).
Nel Cerchio inferiore, con riferimento alla vita terrena, 2 leonesse si azzannano, delimitando un cuore, che in fotografia rimanda quasi a dei genitali femminili, rappresenta l’amore carnale, l’amore profano, ma anche le passioni in conflitto.
Nel Cerchio superiore ( ascesi con riferimento alla vita ultraterrena) vi è un Elefante, presumo femmina, con sul dorso una Torre. L’elefante è un simbolo molto positivo, emblema di castità, di temperanza, di “ascolto” e di saggezza , penso rappresenti l’amore casto, l’amore sacro, l’amore che compone i conflitti, la madre che accoglie le nostre pulsioni aggressive, già da lattanti, e quindi la Madre per eccellenza, la Madonna, la Turris Eburnea ( con riferimento alla torre che gli elefanti portavano nelle spedizioni militari ).
Del rilievo di S. Giorgio e il Drago si sono interessati molti esperti di Arte Medievale come Wolfgang Colbach, Ferdinando Bologna che lo ritenne tra le più importanti sculture del Medioevo, Maria Teresa Tozzi che sosteneva che il bassorilievo aversano fosse un vero capolavoro ed ancora Anna Grelle che ne parla in un lungo articolo sulla rivista Napoli Nobilissima, Francesca Pomarici e molti altri. Tutti ne hanno evidenziato la rilevanza artistica, e ne hanno cercato le ascendenze culturali ed il rapporto con l’architettura e le sculture della Normandia e del territorio campano di quell’epoca.
Alcuni hanno sottolineato la violenza espressiva di tipo nordico e la somiglianza con alcuni dipinti di Picasso, vissuto 900 anni dopo; nessuno, però, ha dato una decifrazione simbolica che dia un significato unitario nell’ambito del contesto in cui era inserita.
Nel Vangelo della prima domenica di Quaresima, Cristo alla tentazione del diavolo di trasformare la roccia in pane, risponde: “non si vive di solo pane ma anche di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Ho inteso che per solo pane deve intendersi la componente biologica del nostro comportamento, rappresentata dai nostri tre istinti fondamentali: l’istinto sessuale, l’istinto della fame e l’istinto della paura, cioè a dire la corporeità di Adam, rappresentata dal numero 4, mentre le parole di Dio indicano lo Spirito, rappresentato dal numero 3 ( Padre, Figlio e Spirito Santo oppure Fede, Speranza e Carità ).
Questi due numeri, cioè il 4 ed il 3, uniti danno il numero 7, che rappresenta la completezza dell’uomo nella sua unità ed unicità. Quasi sempre noi privilegiamo il 4, cioè la corporeità e quindi le cose rispetto ai valori. Le tragedie della vita, però , possono indurci a riflettere, a sentire il peso del nostro vissuto, a riconoscere la causa dei nostri dolori, che per i Buddisti è la Terza Nobile Verità e, per i Cristiani, è il sentirsi: “Poveri in Spirito”. Si tratta di un momento essenziale, centrale della nostra vita. Ma chi arriva a riflettere ed a riconoscere la causa dei suoi dolori? La risposta è l’Uomo Inquieto.
S. Agostino chiama l’inquietudine il segno di Dio. Dice: “ Dio ti chiama al suo progetto, ma tu sei sordo e Dio ti manda, allora, l’inquietudine, affinchè tu cominci a cercare la centralità della tua anima”. E dove bisogna cercare la propria anima? “Noli fora ire, in interiore homine abitat veritas”.
L’inquietudine è la condizione di Dante nella Selva Oscura, ma anche della signora Amalia, la protagonista della tragicommedia Napoli Milionaria di Eduardo De Filippo, che con la sua bramosia delle cose ha rotto l’armonia che pure regnava nella sua povera casa, ma anche dell’Ebreo Errante, alla cui figura sono molto legato, e soprattutto di S. Pietro, al terzo canto del gallo, il cui dramma è magistralmente interpretato dall’Herbarme Dich Mein Gott della Passione secondo Matteo di Bach che dice “Abbi pietà di me mio Dio e delle mie lacrime”.
E come ci si sente in questa condizione? Ci si sente sconvolti, spezzati, divisi.
Queste riflessioni riguardano molto da vicino l’interpretazione della stele che vado ad esplicitarvi.
Volete sapere di che si tratta? Si tratta di uno spazio parlante, di uno spazio vivente. Siamo di fronte ad una sorta di Hortus Conclusus. Ma come possiamo entrarci? L’entrata è spostata un poco a sinistra, forse perché il male lo associamo ad un sinistro, ad un tiro mancino, ad uno aspetto sinistro. L’entrata ci fa pensare al varco, alla fessura, al taglio, termini che possono avere una connotazione diabolica, perché tagliare, dividere ha a che fare con diaballo, diabolicum, il demonio. Ecco il varco, ecco la porta, prepariamoci ad entrare.
Per capire l’insieme, dobbiamo soffermarci sul decoro, che Anna Grelle definisce leopardato di stile bizantino, ed alza le mani di fronte alla possibilità di decifrazione. Eppure la possibilità di decifrazione sta proprio in quest’insieme leopardato. Ci troviamo di fronte ad una serie di cerchi con il punto in mezzo. Il significato simbolico del punto al centro del cerchio, è quello dell’assoluto da cui si irradia lo spazio – tempo, quello di fulcro da cui partono i movimenti dell’uno verso il molteplice, dell’interiore verso l’esteriore, dello eterno verso il temporale.
La peggiore cosa che un essere umano possa fare è spezzare il legame con il proprio centro, per essere soltanto un cerchio, una materia non organizzata, una terra arida, un deserto.
Tutto questo può anche essere rappresentato con la divisione del 7 – in un 4 ed un 3.
Ora, come rappresentanti di tutti gli Ebrei Erranti, di tutti i Penitenti del mondo, attraversiamo in processione la porta, con il coro dolce che segue l’.Erbarme Dich mein gott della Passione secondo Matteo di Bach, che dice :Bin ich gleich von dir gewichen (Quantunque mi sono separato da te, tornerò ancora al tuo fianco). La porta è la divisione operata dalla ciocca di capelli mostruosi del Drago, che, come uno “ zampino “ ha separato i 4 cerchi con il punto in mezzo, dagli altri 3. Ora siamo soli con noi stessi, nel buio lapidario del nostro inferno interiore.
E’ gioco forza affrontare il mostro che ci sta portando verso la perdizione. Guardiamolo più da vicino, esaminiamolo, conosciamolo. L’immagine può ricalcare la leggenda di S. Giorgio e il Drago, che però è stata costruita dopo, nel 1265 da Iacopo da Varagine nella sua Leggenda Aurea, con la esaltazione di un soldato di Diocleziano, vissuto nel 3° secolo e martirizzato a Lidda, in Cappadocia nel 303 D.C. In questa lastra il cavaliere vibra, di botto, il colpo da sotto che neutralizza il drago. Dato che questa lastra ha ascendenze nordiche, potremmo pensare alla saga di Sigfrido che vibra, da sotto, un colpo con la spada al cuore del Drago.
Ritengo che alla base di questa saga ci sia, comunque, il mito di Perseo e la Medusa, che dal punto di vista psicoanalitico rimanda all’acquisizione della riflessione, vedi lo scudo che “riflette” l’immagine della Medusa ed al taglio di botto della testa del mostro che pietrifica, cioè “ fissa” nell’istante, quindi alla liberazione dalle “fissazioni”, dai pregiudizi, dai luoghi comuni. Mito che rimanda ad “un fondamentale processo di crescita”.
L’aspetto leonino rimanda ad un altro mostro mitico, un altro guardiano della soglia: la Sfinge.
Ma se proprio volete sapere di chi stiamo parlando, ecco il diavolo, che negli arcani maggiori dei Tarocchi viene rappresentato nella carta N. 15, e proprio 15 sono le ciocche di capelli, a guisa di denti, raccolte in questa specie di toupet sopra la testa del Drago. Se dal punto di vista psicoanalitico il peccato possiamo intenderlo come l’appagamento smodato di uno o di tutti e tre gli istinti fondamentali, che stanno alla base del nostro comportamento, cioè l’istinto sessuale, l’istinto della fame e l’istinto della paura, potremmo tentare di raggruppare i 7 vizi capitali intorno a questi tre e precisamente: la Lussuria con l’istinto sessuale, collocato nella zampa sollevata in alto, dove, con un poco di fantasia, si può intravedere una testa maschile a guisa di serpente che bacia e sovrasta la testa di una donna; a destra in alto, i 30 cerchi con il punto al centro, sono i famosi “30 denari ”, che hanno a che fare con l’istinto della fame, cui è legata la bramosia delle cose, quindi la Gola ed anche il peggiore dei vizi l’Avarizia; e sotto la testa, verso destra 6 ( 666 = Lucifero ) denti che cercano di aggredire un grande cerchio ripieno, anche a tradimento, con un aculeo: si tratta del peccato di Superbia, cui possiamo abbinare l’Ira e l’Invidia, da cui scaturisce l’odio, e fra questi 3 estremi si crogiola l’Accidia.
Come liberarci dal peccato, come controllare le nostre smodate pulsioni istintuali, per procedere nel percorso di crescita? Dobbiamo ammazzare o meglio, ferire, neutralizzare il mostro che ci dilania, per avviarci fermi nelle nostre convinzioni, con l’aiuto di Arianna, la nostra anima, fuori dal labirinto a contemplare la luce del Sole, la luce di Dio.
Ora il dado è tratto, il drago è stato colpito, neutralizzato, il passaggio dall’Uomo Fisico all’Uomo Animico è avvenuto. Ora siamo di fronte al numero 5. Questo è lo stadio dell’uomo consapevole, ed anche lo stadio della Disputa con i Dottori, che si contempla nel 5° mistero gaudioso. Nella religione egiziana, il numero 5 corrisponde al dio Toth ( Mercurio messaggero degli dei = cultura superiore ), in alchimia il numero 5 corrisponde al Mercurio. Inizia, quindi, lo stadio della consapevolezza, da cui parte l’Etica della Responsabilità. Ora il cavaliere è saldo nel suo cammino. L’aculeo del drago si è trasformato, è diventato più grande, ma più piatto ed è sovrastato dal cerchio con il punto in mezzo, sigillo del nostro essere uomini, sembra quasi una bisaccia, un contenitore del proprio vissuto elaborato.
Questa splendida e strana figura di cavaliere è in “equilibrio” sul suo cavallo. Nello Yoga antico il termine Kaivalyn indica un uomo che ha aggiunto la consapevolezza.
Il cavallo è straordinario, sembra che parli. Da solo è tutto una simbologia. Sotto la pancia troviamo Tre Linee o legacci. Tralasciando gli innumerevoli significati del 3, ne piglio in considerazione solo due. Il Gallo ha cantato 3 volte. Ora S. Pietro ha capito ed intraprende la sua strada, la sua missione. Nelle antiche Chansons de Gestes, era uso che il Re invitasse un Cavaliere ad intraprendere una missione pericolosa, alla 3° chiamata un Cavaliere si faceva avanti.
Ora il tre è sotto la pancia, fa parte del vissuto del Cavaliere, che è diventato un Uomo Consapevole, un numero 5, come è evidenziato da che cosa? Dal numero dei Denti del Cavallo.
La zampa posteriore del mostro, con gli artigli, ha finito con il mollare la presa, e sotto, una mano scheletrica di morte, con 6 ( 666 ) dita, è diventata inoffensiva, e sta quasi polverizzandosi. Il Cavaliere ha colpito il mostro da sotto e senza guardarlo in faccia, in accordo con il mito di Perseo e la Medusa, ed ha virato a destra, cioè a “dritta” avendo come modelli i 24 Vegliardi in adorazione eterna davanti al trono di Dio, nell’Apocalisse, e rappresentati, in questo caso, dai 24 Cerchi con il punto in mezzo della Ciocca di Capelli del Drago. Questi 24 Vegliardi, che vengono interpretati come i 12 Apostoli ed i 12 Patriarchi , probabilmente, sono autentici simboli che non rimandano a persone precise, ma evocano tutti gli uomini che collaborano al piano di Dio ed hanno un ruolo attivo nella storia della salvezza.
Ora il cavaliere è saldo nel suo cammino. Il suo occhio non si capisce se è aperto o chiuso, lui sta sicuro in sella, guidato dal suo occhio interiore.
Adesso parliamo del numero 9. Si tratta del numero dei mesi di gravidanza ed ha a che fare con la nascita, la caduta degli angeli ribelli, la cacciata dall’Eden. Il 9 è fatto di 4 più 4 più 1, che, disposti dall’alto in basso nel triangolo equilatero a punta in basso, il femminile, danno luogo a 441, simbolo della colpa, della caduta, quindi la condizione del 1° Adam, cacciato dall’Eden, ed anche di ciascuno di noi.
Dopo un percorso di vita, inteso come crescita interiore, come un pellegrinaggio, come un itinerarium mentis, possiamo sperare che il triangolo a punta in basso ruoti di 180 gradi, diventando il triangolo a punta in alto, con il 441 che diventa 144ooo Beati che entreranno nel nuovo Eden della Gerusalemme Celeste, al seguito del nuovo Adam, il nuovo numero 9, Cristo, che ne apre le porte per sempre.
Torniamo al nostro Cavallo che presenta il Quarto Posteriore un poco anomalo, spostato verso il basso, mentre la Testa è spostata verso l’alto. Si tratta di un percorso di crescita, di un’Ascesi.
Esaminiamo la Coda del cavallo è suddivisa in 9 ciocche e sta diretta verso il basso = 441, indica la caduta, la cacciata dall’Eden. Invece la Criniera è sempre suddivisa in 9 ciocche, ma sta in Alto e la punta è rivolta in Alto, il 441 è diventato il 144, il nuovo numero 9, il punto di riferimento, Cristo.
Sopra al cavallo c’è lui, il Cavaliere. – Lui non ha nessuna pretesa di essere un Beato sulla Terra, lui resta ancora un uomo, come è rivelato dalle 18 ( 2 volte 9 ) ciocche della sua chioma. Lui ha equilibrato l’umano e il divino del suo essere uomo.
Ora il Cavaliere ha trovato la famosa “Porta Stretta” e spera di farcela a percorrere l’angusta “Via” che porta alla “Vita”, come viene proposto da Cristo nel Vangelo secondo Matteo.
Lui è ancora un Viator, un Pellegrino, un Cercatore di Senso, però è meno inquieto, è più sereno, ha seguito i Magi a Betlemme ed ha visto, è stato nella Locanda ed ha visto Spezzare il Pane, ha messo il Dito nella Ferita ed ha sentito vacillare i suoi dubbi. Ora è diventato, come dice Papa Francesco, un vero Uomo di Servizio, che “Cammina, Edifica e Confessa” il Messaggio, che ha introiettato. Ora ha messo la barra a Dritta e procede Dritto, su di una linea Retta, sulla via per Gerusalemme.
Volete sapere perché questo straordinario cavaliere provoca il mio ed il vostro turbamento? Guardate il suo Naso apparentemente grossolano, isolandolo dal contesto, è l’immagine di un campanello, che al mattino dà la sveglia, quindi lui è un Risvegliato, lui rappresenta il “Se ideale”, l’uomo vero fatto ad “immagine e somiglianza di Dio”. E da che lo deduciamo? Dall’Orecchio, apparentemente strano, che è proprio l’immagine speculare del numero 9.
Il risveglio, la redenzione – resurrezione rappresentano il punto di arrivo; ma da dove e da chi siamo partiti, una volta entrati nello spazio vivente di questa stele di marmo? Vi ho detto che il drago, con le sue 15 ciocche di capelli del toupet della sua testa, corrisponde al diavolo nella carta n.15 degli arcani maggiori dei Tarocchi.
Voi forse avete pensato ad un’entità esterna a noi. Ma è proprio cosi?
L’espressione di questo drago, in fondo, è sorniona, quasi simpatica; si presenta come un povero Diavolo ed è proprio cosi: questo drago è uno di noi, lui è Nemo ( Oudeis ) o meglio Ou de is (non uno dei tanti), lui è l’ebreo errante, l’uomo “inquieto” di cui parla S. Agostino. Lui sulla fronte ha il sigillo di Dio, come dice il profeta Ezechiele ( 9, 4 – 5 ): “Passa per la città, percorri Gerusalemme e segna una croce sulla fronte gli uomini che gemono e piangono, per tutte le nefandezze che si commettono in mezzo ad essa”, e come riporta Giovanni nell’Apocalisse: “vidi poi un altro Angelo, che saliva dall’oriente e aveva il Sigillo del Dio Vivente, e gridò a gran voce ai quattro Angeli, ai quali era stato concesso il potere di devastare la terra e il mare: non devastate né la terra né il mare, né le piante finchè non abbiamo impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte dei suoi servi”.
Poi udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: 144.ooo ( Apoc. 7, 2 – 4 ).
Il sigillo, impresso sulla fronte dei servi, secondo Ezechiele, fa riferimento al Tau impresso sulla fronte dei penitenti, degli Inquieti, di “quelli che si ritrovano in una selva oscura”. Tau è l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico ed ha la forma di una croce patibolare, come si presentava la croce, prima che venisse affissa la scritta I.N.R.I. di Pilato. Dal punto di vista numerico, nell’alfabeto greco, la lettera Tau corrisponde a 300, sinonimo di salvezza o di vittoria. Dio disse a Noè: “fatti un’arca con legno di cipresso. Ecco come devi farla: l’arca avrà “trecento” cubiti di lunghezza”(Gen. 6,14-15). Secondo Origene l’arca rappresenta la zattera salvatrice prefigurante la croce redentrice, poiché 300 è uguale a Tau. Il Tau è perciò segno di redenzione e, per i Cristiani, è segno esteriore di quelle novità di vita, più interiormente segnata dal sigillo dello Spirito Santo, data in dono a ciascuno il giorno del Battesimo ( Ef. 1, 13 ).
Sulla fronte del Drago il Tau è chiarissimo, rappresentato dal naso e dalle grosse sopracciglie, che sovrastano e dominano i due baffi orizzontali rappresentanti il 2, il femminile, la divisione, la confusione, il taglio, il diabolico, il peccato. In effetti il Cavaliere non è altro che il Drago, che ha percorso il suo cammino di Redenzione.
In ognuno di noi c’è una scintilla divina (rappresentata, in questo caso dall’orecchio del drago, come un uroboro, un serpente che si morde la coda: le nostre potenzialità, compresse dal cedimento alle pulsioni biologiche, che, se attivate, ci permetteranno un percorso di redenzione, un “Passaggio da Poveri Diavoli, quali Noi siamo, a Cavalieri”.
Come vedete questa stele, che già dal punto di vista formale rappresentava uno dei capolavori della scultura medievale europea, ora che è stata decriptata, diventa, forse, il capolavoro della scultura medievale europea.
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