Articolo tratto da Osservatorio Cittadino. Il complesso della Maddalena fu fondato nel 1269 per volere del re Carlo I d’Angiò all’esterno delle mura angioine, nei pressi dell’antica porta San Nicola, attualmente via Giovanni Linguiti.
La destinazione della struttura era di tipo assistenziale: essa è citata in alcuni documenti con la denominazione di Hospitale Leprosorum S. Mariae Magdalenae ed era finalizzata alla cura e all’assistenza dei malati di lebbra. Il complesso era gestito, così come ipotizzato da G. Parente, dai Cavalieri ospedalieri di San Giovanni che all’epoca amministravano i due terzi dei lazzaretti d’Europa, poichè il morbo costituiva una malattia dominante in tutti i paesi europei.
Dopo 154 anni dalla sua fondazione, nel 1420 fu dismesso per due motivi essenziali: la diminuzione del numero dei malati ed il trasferimento parziale del lebbrosario a Sant’Eligio. Vi si insediarono, quindi, i Frati Minori conventuali che lo ampliarono con nuove costruzioni per trasformarlo in convento. Nell’anno 1430 Jacopo Scaglione di Aversa, appartenente a un nobile casato aversano, fece costruire il chiostro, ove un altro aversano, il vicario generale Angelo Orabona, aggiunse il pozzetto marmoreo centrale riportante una cicogna, stemma del suo casato. Nel 1707, nella chiesa in particolare, furono condotte altre opere di restauro che continuarono nel 1710 e proseguirono fino al 1777. I frati vi risedettero per 393 anni fino al 1813, quando un decreto lo designò come “Ospedale dei pazzi” ed un successivo decreto dello stesso anno fece trasferire i Francescani nel convento di San Domenico.
“Così questo ospedale de’ pazzi, ora denominato Morotrofio della Maddalena,…, fu solennemente aperto ed inaugurato il 5 maggio 1813” ( G. Parente).
In questa data, infatti, furono trasferiti nella struttura 40 folli dall’ospedale degli Incurabili di Napoli, cosi come racconta G. Parente nell’illustre opera intitolata Origini e Vicende Ecclesiastiche della città di Aversa: “L’abate Gennaro Maria Cav. Linguiti, col titolo di direttore, sotto la dipendenza del Ministero dell’Interno, ebbesi affidata l’amministrazione e la disciplina del nuovo locale”. Le cure in esso praticate risultavano essere molto all’avanguardia: esse non erano più basate su coercizioni, repressioni e reclusioni ma su nuovi metodi terapeutici che consentivano ai malati di lavorare e praticare varie attività grazie alle quali essi godevano di notevoli giovamenti e anche guarigioni. Ciò conferì all’Istituto una considerevole fama in tutta Europa, tanto da essere visitato dai sovrani d’Austria, di Sassonia, di Russia e da noti uomini di scienza, quali medici, “filosofi, giuristi, attirati dal grido o dalle dotte curiosità”. Con il passare del tempo il manicomio andò ad assumere sempre più l’aspetto di un vero e proprio ospedale, migliorando ed incrementando il personal sanitario e di assistenza. Presso tale struttura, nel marzo 1944, fu costituito il Comando del Centro raccolta profughi del Ministero degli Interni: il notevole afflusso di profughi causò un allontanamento di molti folli che, dispersi o ricoverati in altri luoghi, torneranno ad Aversa solo nel 1946, quando la vita ospedaliera riprese ad esserci. Si giunse, quindi, in seguito al degrado degli anni del conflitto mondiale e del dopo-guerra, al riconoscimento di Aversa come punto di riferimento nell’ambito psichiatrico, fino alla chiusura avvenuta verso la fine degli anni Ottanta del Novecento.
La chiesa della Maddalena conserva l’impianto angioino con un’ aula a navata unica coperta a tetto e altari laterali, con l’aggiunta, durante lavori di ampliamento settecenteschi, di cappelle laterali. La navata si conclude con un breve transetto formato da due cappelle laterali e una terza, pressoché uguale per forma e dimensioni, ne costituisce il vano absidale. Su un alto tamburo cilindrico si erge la cupola, sormontata da un lanternino; il tamburo, impostato su quattro ampi archi a tutto sesto, collegati ad esso grazie a quattro pennacchi sferici è illuminato da otto ampi finestroni che danno luce alla zona presbiteriale. Gli elementi strutturali, archi, trabeazione e pilastri, sono realizzati in pietra lavica, quindi di colore grigio, risaltano in contrasto con il bianco dell’intonaco. La trabeazione, tangente agli archi in corrispondenza della chiave di volta, è caratterizzata da un accentuato chiaroscuro dovuto ad un evidente aggetto. La cupola presenta all’intradosso otto costoloni in piperno che formano una struttura ad ombrello. L’intero vano presbiteriale con le cappelle laterali e la cupola mostrano una ricercata soluzione nei rapporti geometrici delle varie parti, tipica dell’architettura brunelleschiana (Filippo Brunelleschi, architetto attivo a Firenze in epoca rinascimentale), non presente nelle altre chiese aversane. La navata è scandita dal ritmo alternato di lesene e archi a tutto sesto da cui si accede alle cappelle laterali. Nell’ordine superiore, in asse con le arcate, ampi finestroni illuminano il vano. In seguito a lavori del primi anni del Settecento la chiesa fu sottoposta a trasformazioni che riguardarono, tra le altre, anche la realizzazione di una nuova facciata. Essa è formata dalla sovrapposizione di due ordini di lesene binate sormontate da cornici che, al primo ordine, inquadrano il portale di accesso e, al secondo ordine, un ampio finestrone: essa va a concludersi con un timpano triangolare. Il portale consente l’accesso al vestibolo coperto con volte a crociera. Sul lato destro della chiesa il campanile resta l’unica testimonianza dell’antico aspetto originario.
All’interno della Chiesa sono presenti innumerevoli opere artistiche di inestimabile valore e bellezza: particolare rilevanza hanno le opere attribuite a Giovanni da Nola al secolo Giovanni Merliano detto il Marigliano (scultore e architetto attivo a Napoli nel XVI secolo) ma, secondo alcuni autori, potrebbero essere state realizzate anche da artisti della sua scuola. L’ancona dell’altare maggiore mostra tre edicole: quella centrale, timpanata, è scolpita con un gruppo figurativo in altorilievo con la Vergine e il Bambino circondati da angioletti, sovrastanti il modello della chiesa con la cupola e le lesene che ne scandiscono le facciate. Nelle nicchie laterali ad arco, sovradimensionate rispetto alle dimensioni del vano, sono presenti le statue di San Pietro e San Paolo inserite tra due coppie di semicolonne ioniche.
Il sarcofago marmoreo di Paolo Lamberti fu costruito per volontà del fratello Pirro nel 1555. Su di esso è rappresentato “Il Lamberti che giace con in mano un libro aperto, forse un libro di preghiere” (Santagata). Il complesso marmoreo rivela un’espressività plastica notevole: la figura scolpita pare abbandonarsi dolcemente al sonno ed i panneggi si adattano verosimilmente alle forme corporee.
Sul lato opposto è presente il sarcofago marmoreo di Angelo Orabona, sul quale è inciso lo stemma del casale e, sullo schienale, il rilievo della Maddalena.
Vi sono testimonianze, inoltre, di un ricco patrimonio di tele e opere scultoree molte delle quali trafugate o in totale stato di abbandono.
Il chiostro rettangolare risale al 1430. Esso fu costruito grazie all’aversano Jacopo Scaglione, come testimonia “una preziosa iscrizione in caratteri gotici e che trovasi nel vestibolo a dritta tra il chiostro e la chiesa” (G. Parente). Fu successivamente ampliato dal francescano Angelo Orabona, vicario generale, vescovo di Catanzaro, che vi aggiunse qualche corridoio interno ed il pozzo marmoreo al centro del chiostro. Come G. Parente ricorda: “E’ fama che avesse qui dimorato buona pezza di tempo S. Bernardino da Siena: perciò che nel chiostro vi è un pozzo , non quel di mezzo fatto dall’Orabono, ma sì, l’altro, che per tradizione si addimanda tuttavia il pozzo di s. Bernardino”. La struttura del chiostro è realizzata con pilastri in pietra grigia (piperno) che sorreggono archi a tutto sesto. Il portico è coperto con volte a crociera interamente decorate con affreschi raffiguranti episodi della vita di San Francesco.
L’ospedale della Maddalena iniziò la sua attività di assistenza il 5 maggio 1813 (Parente), allocandosi nel Convento dei frati Osservanti di Aversa che accolse, però, esclusivamente pazienti di sesso maschile. Le “donne matte”, infatti, furono collocate nel soppresso Convento dei Cappuccini di Aversa, per decreto di G. Murat. Entrambe le Case dei matti erano ubicate nei pressi del centro della città ma esterne ad esso.
Probabilmente a causa di un eccessivo sovraffollamento dei due complessi, fu necessario ricercare ulteriori sedi-succursali: le strutture conventuali di S. Agostino degli Scalzi e il Convento di Montevergine, quindi, furono anch’esse destinate al ricovero e alla cura dei folli.
La prima struttura, chiamata in un successivo momento “Succursale Miraglia”, iniziò l’ attività nel marzo 1837 e fu abolita il 30 settembre del 1941; la seconda, invece, dal 1821 al 1912. La dislocazione in tre sedi separate mise in crisi la gestione dei servizi sia di cura che di assistenza, anche a causa della distanza fra le strutture stesse e le difficoltà logistiche di viabilità presenti, all’epoca, soprattutto tra la Maddalena e il convento dei Cappuccini.
Dalle suddette difficoltà nacque l’esigenza della costruzione di una Casa Centrale che fosse in grado di sopperire alle esigenze “dove i concepimenti della scienza medica stessero come norma dirigente delle costruzioni; e quel disegno fu (…) affidato all’architetto Nicola Stassano” (Parente op. cit.) che fu incaricato di redigere un Progetto di Ampliamento e Restauro del Real Morotrofio della Maddalena di Aversa e non solo di un edificio ex-novo. Per ragioni economiche il progetto prevedeva l’utilizzo quasi totale della struttura conventuale, determinando il mantenimento di un eccellente equilibrio proporzionale tra antico e nuovo, con l’articolazione della nuova fabbrica intorno a corti centrali porticate e prediligendo, quindi, la forma rettangolare per escludere a priori quella a raggiera. L’opera fu iniziata nel 1854 ma non fu mai conclusa e la sua parziale esecuzione è da ritenersi un’occasione perduta per il patrimonio architettonico della città di Aversa.
Biagio Miraglia, che diresse il morotrofio dal 1860 al 1869, censurò l’impostazione progettuale di Stassano, ritenendola inadeguata. La sua teoria assegnava all’architettura un ruolo decisivo per la cura e il trattamento psichiatrico così come sostenne nella elaborazione del Programma di un Manicomio Modello Italiano. Tali dettami furono adottati dallo stesso Ing. Stassano che modificò il suo progetto precedente in funzione di essi. I loro intenti, però, naufragarono per l’eccesivo dispendio di risorse nella costruzione parziale del progetto dell’ingegnere, e di conseguenza si abbassarono i livelli della qualità delle strutture di ricovero aversane.
Con la direzione di Gaspare Virgilio si manifestò un impulso innovativo mediante l’acquisizione di aree circostanti la sede centrale e con l’approvazione del Programma Medico per le nuove Fabbriche, a cui fece seguito un altro incarico all’ing. Stassano, per la redazione di un progetto tecnico di massima. Il progetto per la costruzione di un comparto di fabbricati redatto dall’ingegnere fu approvato nel 1880 e inaugurato nel 1885, realizzando solo un quinto del programma originario di Virgilio. Agli inizi del ‘900 furono costruiti “due nuovi padiglioni isolati (…) costruiti col nuovo sistema del cemento armato” (Cascella) per volere del direttore prof. Eugenio La Pegna.
Il complesso della Maddalena, attualmente reso inaccessibile dallo stato di avanzato degrado in cui vige, custodiva al proprio interno (come attestano innumerevoli fonti) opere d’arte di grande importanza ed interesse: l’interessante tela dell’Adorazione dei Magi (XVI sec.) del Negroni, San Pasquale di Balon (XVIII sec.) di O. Marchione, la cona dell’altare maggiore con il rilievo della Madonna col Bambino, una tavola seicentesca con l’Immacolata Concezione. Enumerare tutte le opere sarebbe lungo e, probabilmente vano: attualmente non è possibile conoscerne le condizioni o sapere se esse siano state trafugate o siano state distrutte dal tempo e dagli agenti atmosferici.
L’ospedale psichiatrico, insieme alla chiesa e al convento della Maddalena e allo spazio verde è l’ennesima occasione mancata per la città di Aversa di godere di una testimonianza artistica e culturale, di un’ interessante opera architettonica che un attento restauro potrebbe restituire alla fruizione della cittadinanza, quale possibile destinazione a funzioni culturali o universitarie.
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